Fotoromanzo dedicato a Lia
Lia: Tu sei Max. Mi chiamo Lia, un autografo non mi basta. Voglio stare con te. Anche per poco. Gli stringo il braccio. Mi accorgo di fargli quasi male. Accontentami. Io… ho solo pochi mesi di vita. Ho un male incurabile. E’ il mio ultimo desiderio, questo. So cosa pensa di me: che sono il classico tipo che devi uccidere, per togliertelo dai piedi. Portami a casa tua, ti prego. Accontentami anche in questo.
Max: Non le credo, naturalmente. La storia del male incurabile è una balla. Perchè l’ho caricata? Perchè me la sto portando a casa? E’ la prima volta che mi succede, giuro. E’ pallida, dolce e impaurita. Quasi quasi la porto ai giardini e le compro un palloncino colorato.
Lia: Per pietà… forse ha accettato di regalarmi un po’ d’amore per pietà. Mi sta bene lo stesso.
Lia: Perchè mi ringrazi?
Max: Perchè sei sensibile, perchè hai saputo dare un tocco i poesia a questa nostra squallida avventura.
Ho il letto pieno del suo profumo di bambina. La guardo andar via e aspetto che si volti, ma non lo fa, tira diritta. Adesso la chiamo e le chiedo di tornare indietro. Invece no, sono stato zitto. L’ho lasciata sparire. Non so dove abita, conosco soltanto il suo nome. Meglio così, forse la troverò davanti ai cancelli della Lancio, mi ha detto che ci viene spesso. Niente, non è venuta neppure oggi. Affari suoi, dopotutto. Per quello che me ne importa…
Lia: Quando leggo non sento più nemmeno le cannonate. Per poco la sorpresa non mi sbatte per terra. Non ti ho sentito arrivare. Ennio: Sfido io! Sei sempre lì a rincretinirti con quelle porcate di storie. Lia: Porcate sono quelle che leggi tu. E poi lasciami in pace. Che vuoi? Ennio: Fammi vedere quello che stavi leggendo! Lia: Ci mancherebbe… dentro le pagine ho la foto che ieri sera “lui” mi ha dedicato. Molla! Finirai per romperlo! L’hai rotto! Ridammi la foto! Si può essere più stupidamente cattivi di così? Sento la moto che se ne va, con quell’imbecille in sella che se la ride.
Lo squillo del campanello.
Max: Se fosse Lia…
Mi ero dimenticato che esistesse! E invece eccola di nuovo tra i piedi, col suo dannato fotografo, con il suo sorriso insopportabile, pieno di denti. E’ Marika Kaser, che nervi. E’ di Bergamo, ma fa finta di essere nata ad Amburgo. Così ha deciso il nostro comune agente cinematografico.
Ancora una volta sul set:
Amica di Lia: Signor Max… Tanti saluti da parte di Lia. Max: Dov’è? Quando l’hai vista? Amica di Lia: E’ al “Regina Elena”, in ospedale, per una visita di controllo. Ha… un brutto male, poveretta. Non lo sapeva? Max: Un brutto male? Ma allora mi aveva detto la verità. Non era una balla. Ho dentro uno schianto, un grido, una bomba che esplode. Non sento neanche quello che dice il regista.
Improvvisamente Sibilla, la sceneggiatrice della Lancio, diventa il mio rifugio, la poltrona vicino al caminetto, un’amica come non lo è ancora mai stata. Si chiama Lia, ha pochi mesi di vita, stiamo andando a trovarla.
Lia: Mi hanno detto: “puoi andare a casa. Tra venti giorni tornerai qui per un altro esame.” A casa… a casa mia madre piange e mio padre beve. Invece di tirarmi su… finiscono di ammazzarmi. Ho il naso rosso, le lebbra screpolate. Devo essere un orrore, ma chi se ne frega? Tanto, non ho mica Max vicino a me.
Max: Potessi almeno sapere dov’è… Lo squillo del telefono mi mette in allarme, mi sento lo stomaco in bocca per l’emozione. Lia, da dove chiami?